Giovani, Generazioni, Genitori

Oggi è successa una cosa che mi ha commosso. La mia giovane amica Linda, fotogiornalista per caparbia scelta, è intervenuta – ma non è la prima volta –in una trasmissione radiofonica importante in collegamento da Raqqa. Uno di quei luoghi che fatichiamo ancora a immaginare sulla carta geografica ma dove si stanno decidendo le sorti degli ultimi avamposti dell’Isis e di comunità perseguitate come quella Curda. Lei si occupa di questo: va nei territori del Medio Oriente ormai da oltre sei anni, cerca storie, le fotografa, le racconta e le pubblica in Italia ma non solo. Stamattina via whatsapp mi è arrivato il suo messaggio: alle 11 mi intervistano in radio, mi ascolti?

Non ero sicura di farcela per via di altri appuntamenti e invece ce l’ho fatta. Alla fine le ho mandato il mio feed, come lo chiama lei. Questo voleva da me: sapere com’era andata «perché lo sai che ci tengo al tuo commento», ha detto. Mi sono commossa, prima di tutto perché ho ripensato a quando negli anni Novanta io me ne andai a seguire storie di rifugiati kossovari insieme con un amico fotografo – ché io scrivo e basta – e  non c’erano cellulari e manco whatsapp e facemmo un collegamento con radio città futura e di feed non ne avemmo fino al nostro ritorno in Italia.  Invece quanto mi sarebbe piaciuto avere uno scambio sincero con qualcuno che mi voleva bene. Perché stare in quei territori tra realtà per nulla rinfrancanti, da una parte dà molta forza, ma dall’altra rende molto fragili. Io all’epoca mi trovai unica donna in un coacervo di vecchi lupi ingrigiti. Tornai e dissi che non avrei mai più fatto reportage da terre in guerra. Linda, invece, ha la costanza che la conduce  lungo la strada che si è scelta e della quale – da quando la conosco, circa 10 anni – abbiamo discusso spesso insieme. Anche lei donna e per giunta fotografa di realtà difficili, un binomio di complicata convivenza perché quel mondo è ancora monopolio maschile. Quante volte ne abbiamo parlato io e Linda! Quante volte l’ho contraddetta e quante altre incoraggiata e altre ancora un po’ “sfanculata” come fanno le gatte con i piccoli quando è ora che smettano di giocare con la coda dei “più grandi” e inizino a giocare con la propria.

Tra le parole che tanto ricorrono nelle conversazioni da salotto, giovane è una tra le più evocate, spesso a sproposito e spessissimo per denigrare la “categoria”  come lazzaroni, nullafacenti, disinformati e via così.

È vero, il livello di preparazione – scolastica e culturale in genere – tra le nuove generazioni si è molto abbassato per varie ragioni ma non è questo il luogo dove affrontarle né sarei in grado, quel che vedo in giro e intorno, però, non è solo “gente giovane sdraiata” . Ne vedo diversa non considerata. Moltissima alla quale non è data occasione per crescere (e anche qui le ragioni sono infinite, ma tralascio) che non significa “raccomandarla” per un posto di lavoro, non significa passargli denaro perché se la goda. Significa ascoltarla. Mettersi in ascolto cercando di comprendere chi si ha di fronte – nel bene e nel male – e fare gli adulti, ossia infondere fiducia ma senza dimenticare di dispensare critiche costruttive, senza avere timore di uno scontro, anzi. I conflitti dialettici se si impara a governarli – compito di chi diventa adulto – come si dice “fanno crescere”. E non solo chi è giovane, ma anche chi da più adulto avanza dubbi, suggerisce altre strategie, pungola affinché non ci si sieda ad aspettare, stimola a guardarsi dentro, a essere intellettualmente (e non solo) onesti prima di tutto con sé stessi. Il resto è affare del “giovane” che prova a diventare adulto.

Ecco, oggi mi sono commossa perché Linda – classe ’83 –  ha dimostrato di saper diventare adulta: sta seguendo la sua strada con convinzione, perseveranza  e – ovvio – anche con trepidazione, dubbi, ma procede a farsi spazio nel mondo scegliendo a chi chiedere un “feed” e il fatto di essere anche io tra questi, mi emoziona e inorgoglisce. Proprio perché non sono stata sempre “dalla sua parte”, nè le ho risparmiato critiche quando le sentivo opportune e proprio perché non sono sua “parente”. Forse è vero che tutti siamo (un po’) genitori, anche quando non lo si è. Come accade nelle comunità dei gatti, che hanno molto da insegnarci. Ce lo siamo dette molte volte io e Linda. Miao.